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Laura Carbonell: Una ierofania come è descritta nel dizionario è una parola proveniente dal greco “hiero” (sacro) e “phainein” (mostrare). “Il termine designa la manifestazione del sacro in qualsiasi oggetto nel corso della storia. Sia che il sacro appaia in una pietra, in un albero o in un essere umano incarnato, una ierofania denota una realtà di un ordine completamente diverso da quelle di questo mondo che si manifesta in un oggetto che fa parte della sfera naturale o profana. Perché chiamare la tua opera Hierophany? Cerchi una connessione specifica con il paesaggio quando fotografi o sono le immagini stesse a produrre quel sentimento sacro?
Stefano Parrini: Il titolo di questo libro è stato dato dal mio curatore Steve Bisson, ho trovato che fosse il più adatto possibile. Soprattutto per l’inserimento della parola ierofania.
Una parola dal significato profondamente vicino alle sensazioni che ho provato davanti a questi paesaggi. Quindi, c’è una connessione specifica con quella parte di mondo che si è posto davanti ai miei occhi, le immagini sono una conseguenza diretta di questa frequenza.
Certo però che le immagini che abbiamo scelto dovevano essere delle ierofanie, l’editing è stato fatto fin dall’inizio con questa dimensione. Diciamo che la seconda caratteristica è una conseguenza della prima.
Laura Carbonell: La maggior parte delle fotografie che hai realizzato provengono da luoghi deserti. Hanno tutte un particolare aspetto polveroso e granuloso. Quando guardiamo quelle immagini, sentiamo il bisogno di dedicare più tempo all'osservazione della terra, della composizione del paesaggio, come se stessimo cercando di leggere cosa ha da dire. Ma alla fine ciò che rimane è un sollievo e un momento di connessione con ciò che c'è. Raccontaci di più sul modo in cui hai realizzato quelle fotografie. Quanto tempo ci è voluto e come sono stati i tuoi viaggi in quei luoghi deserti?
Stefano Parrini: La realizzazione delle fotografie che compaiono nel mio libro avvolge un arco di una ventina di anni, ci sono soprattutto fotografie di viaggi che ho fatto per la voglia di scoprire certi luoghi, al tempo non avevo ben chiaro cosa ne avrei fatto, mi lasciavo ispirare dalla grande energia che sentivo. Circa tre anni fa ho riflettuto molto su alcuni argomenti che sento vicini da molto tempo e ho iniziato una strada che mi ha portato poi a scattare fotografie con una linea ben definite che era quella che poi ha dato vita a questo libro. Una ricerca di concetti che volevo fare da tempo e che è stata la classica chiusura del cerchio.
Laura Carbonell: Catturare il silenzio sta diventando sempre più un lusso in un mondo rumoroso. Nelle immagini che vediamo c'è un'apparente mancanza di vita poiché il ritmo della terra è molto più lento del nostro. Stavi cercando il silenzio per creare questo atmosfera sacro?
Stefano Parrini: La ricerca del silenzio è un fatto naturale, direi una conseguenza della dimensione in cui ci si trova. Più che silenzio direi ascolto, cosa che non siamo più abituati a fare. Ascoltare appunto è la cosa che mi sono trovato a fare in modo naturale e che queste mie fotografie invitano a fare, ascoltare quello che si diffonde nell’ambiente naturale. Immagina di andare nel deserto e di cercare di sentire: il vento, la sabbia che si muove, persino I rumori del nostro corpo sono più percettibili. Ecco, una percezione diversa che ci mette in conttatto con tutto quello che ci circonda e con noi stessi.
Laura Carbonell: C'è un aspetto molto scultoreo nelle tue fotografie. Anche se questo paesaggio sembra abitato, ti sembra di ascoltare ogni singola formazione rocciosa per catturare l'immagine di un paesaggio molto vario e ricco. E questo ci dà l'impressione che ci stiamo avvicinando alla pulsione vitale essenziale della terra. È qualcosa che volevi mostrare anche nel tuo fotografie o è più l'interpretazione di un lettore attento?
Stefano Parrini: Un lettore attento nota sicuramente che ci sono riferimenti che non sono casuali! Il mio libro contiene elementi che dimostrano che la terra è vicina e presente in tutto quello che si vede. Ci sono fotografie con fenomeni (alcuni sono delle piccolo installazioni che ho fatto) che dimostrano una misteriosa vitalità del pianeta, una pulsazione che ha plasmato ogni singola pietra e che ha creato l’ambiente che ci troviamo di fronte. Ci sono anche molti elementi ancestrali riferiti alla coscienza umana, a quell lungo periodo in cui l’uomo ha iniziato a mettersi al centro del mondo. Ecco, l’inizio è un pò questo, la presa di coscienza di se stessi e dell’universo che ci circonda.
Laura Carbonell: Mi piacerebbe molto parlare del libro in sé. Come hai lavorato prima sulla selezione delle immagini? Ti sei rivolto all'editore con una serie di immagini o si trattava più di un lavoro collaborativo?
Stefano Parrini: Per quanto riguarda la selezione delle immagini c’è stato un grande lavoro di collaborazione tra me e Steve Bisson. Io sono arrivato con un corpo di immagini sul quale abbiamo poi lavorato affinando il pensiero su quello che volevamo dire. Ho davvero molte immagini che avrei potuto inserire nel mio libro, certo è che l’argomento prevedeva davvero una selezione attenta e non troppo ridondante.
Laura Carbonell: Nel libro le differenze di dimensioni e la sequenza delle immagini ci danno l'impressione di seguirti in questa ricerca del sacro. Hai concepito il libro con un percorso specifico o hai scelto di non condizionare la mente del lettore e lasciarlo interrogare attraverso le immagini mentre il libro va avanti?
Stefano Parrini: La geometria della sequenza fotografica è davvero un percorso che ho creato con una mia linea percettiva. Non è stata modificata moltissimo dal primo pdf che ho presentato a Steve, fin dall’inizio ci sono stati accenti e dimensioni che erano frutto di questo mio istinto. Sfogliando il libro ci si trova di fronte a spazi e dimensioni che ritengo siano in linea con questo mio modo di vedere le cose. Non so se sia un condizionamento per chi sfoglia il libro, certo sono un suggerimento per avvicinarsi ad una dimensione presente nel libro.
Laura Carbonell: Nella sua recensione “Possibili ierofanie”, Maria Cristina Comparato fa una descrizione molto interessante delle proprie sensazioni mentre sfoglia il libro. Dice: “Scorrendo le pagine del volume, mi riecheggiano nella mente queste parole dello scrittore rumeno Mircea Cărtărescu e penso che, se oggi non sappiamo più trovare una strada che possa restituirci il senso di la nostra esistenza, è probabilmente perché abbiamo smesso di meravigliarsi del fatto che, tra miliardi di possibilità, quella della vita sia riuscita ad emergere e sbocciare, anche solo per una minuscola parentesi nell'immenso tempo dell'universo”. Pensi che il tuo libro ci avvicini al senso dell'esistenza?
Stefano Parrini: Cristina, che è un’attenta scrittrice, ha centrato con la frase di Mircea Cărtărescu un pò l’essenza ultima del mio libro, è stato pensato come un reset che ci spinge a farsi delle domande che sono molto vicine ai misteri interiori che ognuno porta con se. Fare un piccolo passo indietro e riscoprire il piacere di cercare dentro di noi qualcosa per cui vale la pena di andare avanti.
Laura Carbonell: Il design del libro è stato realizzato da Rudi van Delden. Sono rimasto molto colpito dalla fattura del libro, in particolare dal tipo di carta, dalla stampa e dalla selezione tipografica. La maggior parte dei testi sono progettati come se fossero rocce. Questi sono dettagli sottili che danno al tuo lavoro ancora più trascendenza. Raccontaci di più sull'approccio del designer al tuo libro. Come è arrivato alle decisioni essenziali: copertina, carta, stampa e design tipografico?
Stefano Parrini: Il libro è il frutto di una collaborazione a tre, io Steve e Rudi abbiamo lavorato insieme per ottenere il risultato che vediamo. Io e Steve ci siamo concentrati molto di più sul corpo e la sequenza delle immagini. Dopo aver visionato diverse prove di stampa, abbiamo pure scelto le carte sia del libro che del box. Rudi ha dato quel tocco estetico che ha completato il design tipografico. Alcune scelte di Rudi, come quelle dei testi che seguono il contorno delle rocce, il font, che ha dato un bell’equilibrio a tutto il libro e la scelta di usare una pietra per la copertina, sono state particolarmente apprezzate! Una scelta importante è stata anche la carta per il box, dove abbiamo dato molta importanza al colore, grigio, che rispecchiasse le tonalità medie di tutto il libro e al colore dei testi e della pietra, rosso, che fossero in contrasto con tutto il resto. Per quanto riguarda la carta per le immagini, in stretto contatto con la tipografia, abbiamo scelto una carta opaca che fosse adatta per la stampa di quel tipo di immagini, abbiamo poi deciso di usare una carta color perla per i testi per dargli una diversa caratterizzazione.
Laura Carbonell: Perché hai ritenuto fosse importante fare un libro di questo progetto?
Stefano Parrini: Fare un libro, per me, è molto importante. Vuol dire riuscire a fare una piccola opera d’arte e farla arrivare alle persone direttamente senza il filtri. Questo libro è altrettanto importante perchè racchiude un bel periodo della mia vita e parla di concetti che ho sempre cercato di esprimere con il linguaggio fotografico. Fare un libro per questa serie è stato importante anche per la stima che ho verso l’editore e verso chi ha collaborato con me.
Laura Carbonell: Questo libro è dedicato solo ai lettori di fotolibri o pensi che sia stato realizzato per un pubblico più ampio?
Stefano Parrini: Non penso mai ad un pubblico ristretto per I libri di fotografia, sarebbe davvero riduttivo fare un libro solo per gli addetti al settore. Io credo che il linguaggio fotografico da sempre sia compreso da tutti e che ognuno possa trovare la propria chiave di lettura. Questo libro porta con se dimensioni universalmente riconoscibili e porta con se argomentazioni su cui ognuno può dare il proprio contributo. La prova è che il libro è stato acquistato da molte persone che non sono a diretto contatto con la fotografia che ne hanno comunque apprezzato il contenuto. Ad esempio, In una presentazione che ho fatto in una scuola media superiore, sono rimasto piacevolmente colpito dall’interesse che ha suscitato tra i ragazzi. Direi quindi che I libri di fotografia sono per tutti e che forse, dal mondo dell’editoria dovrebbero essere meno settorializzati.
Laura Carbonell: Una ierofania come è descritta nel dizionario è una parola proveniente dal greco “hiero” (sacro) e “phainein” (mostrare). “Il termine designa la manifestazione del sacro in qualsiasi oggetto nel corso della storia. Sia che il sacro appaia in una pietra, in un albero o in un essere umano incarnato, una ierofania denota una realtà di un ordine completamente diverso da quelle di questo mondo che si manifesta in un oggetto che fa parte della sfera naturale o profana. Perché chiamare la tua opera Hierophany? Cerchi una connessione specifica con il paesaggio quando fotografi o sono le immagini stesse a produrre quel sentimento sacro?
Stefano Parrini: Il titolo di questo libro è stato dato dal mio curatore Steve Bisson, ho trovato che fosse il più adatto possibile. Soprattutto per l’inserimento della parola ierofania.
Una parola dal significato profondamente vicino alle sensazioni che ho provato davanti a questi paesaggi. Quindi, c’è una connessione specifica con quella parte di mondo che si è posto davanti ai miei occhi, le immagini sono una conseguenza diretta di questa frequenza.
Certo però che le immagini che abbiamo scelto dovevano essere delle ierofanie, l’editing è stato fatto fin dall’inizio con questa dimensione. Diciamo che la seconda caratteristica è una conseguenza della prima.
Laura Carbonell: La maggior parte delle fotografie che hai realizzato provengono da luoghi deserti. Hanno tutte un particolare aspetto polveroso e granuloso. Quando guardiamo quelle immagini, sentiamo il bisogno di dedicare più tempo all'osservazione della terra, della composizione del paesaggio, come se stessimo cercando di leggere cosa ha da dire. Ma alla fine ciò che rimane è un sollievo e un momento di connessione con ciò che c'è. Raccontaci di più sul modo in cui hai realizzato quelle fotografie. Quanto tempo ci è voluto e come sono stati i tuoi viaggi in quei luoghi deserti?
Stefano Parrini: La realizzazione delle fotografie che compaiono nel mio libro avvolge un arco di una ventina di anni, ci sono soprattutto fotografie di viaggi che ho fatto per la voglia di scoprire certi luoghi, al tempo non avevo ben chiaro cosa ne avrei fatto, mi lasciavo ispirare dalla grande energia che sentivo. Circa tre anni fa ho riflettuto molto su alcuni argomenti che sento vicini da molto tempo e ho iniziato una strada che mi ha portato poi a scattare fotografie con una linea ben definite che era quella che poi ha dato vita a questo libro. Una ricerca di concetti che volevo fare da tempo e che è stata la classica chiusura del cerchio.
Laura Carbonell: Catturare il silenzio sta diventando sempre più un lusso in un mondo rumoroso. Nelle immagini che vediamo c'è un'apparente mancanza di vita poiché il ritmo della terra è molto più lento del nostro. Stavi cercando il silenzio per creare questo atmosfera sacro?
Stefano Parrini: La ricerca del silenzio è un fatto naturale, direi una conseguenza della dimensione in cui ci si trova. Più che silenzio direi ascolto, cosa che non siamo più abituati a fare. Ascoltare appunto è la cosa che mi sono trovato a fare in modo naturale e che queste mie fotografie invitano a fare, ascoltare quello che si diffonde nell’ambiente naturale. Immagina di andare nel deserto e di cercare di sentire: il vento, la sabbia che si muove, persino I rumori del nostro corpo sono più percettibili. Ecco, una percezione diversa che ci mette in conttatto con tutto quello che ci circonda e con noi stessi.
Laura Carbonell: C'è un aspetto molto scultoreo nelle tue fotografie. Anche se questo paesaggio sembra abitato, ti sembra di ascoltare ogni singola formazione rocciosa per catturare l'immagine di un paesaggio molto vario e ricco. E questo ci dà l'impressione che ci stiamo avvicinando alla pulsione vitale essenziale della terra. È qualcosa che volevi mostrare anche nel tuo fotografie o è più l'interpretazione di un lettore attento?
Stefano Parrini: Un lettore attento nota sicuramente che ci sono riferimenti che non sono casuali! Il mio libro contiene elementi che dimostrano che la terra è vicina e presente in tutto quello che si vede. Ci sono fotografie con fenomeni (alcuni sono delle piccolo installazioni che ho fatto) che dimostrano una misteriosa vitalità del pianeta, una pulsazione che ha plasmato ogni singola pietra e che ha creato l’ambiente che ci troviamo di fronte. Ci sono anche molti elementi ancestrali riferiti alla coscienza umana, a quell lungo periodo in cui l’uomo ha iniziato a mettersi al centro del mondo. Ecco, l’inizio è un pò questo, la presa di coscienza di se stessi e dell’universo che ci circonda.
Laura Carbonell: Mi piacerebbe molto parlare del libro in sé. Come hai lavorato prima sulla selezione delle immagini? Ti sei rivolto all'editore con una serie di immagini o si trattava più di un lavoro collaborativo?
Stefano Parrini: Per quanto riguarda la selezione delle immagini c’è stato un grande lavoro di collaborazione tra me e Steve Bisson. Io sono arrivato con un corpo di immagini sul quale abbiamo poi lavorato affinando il pensiero su quello che volevamo dire. Ho davvero molte immagini che avrei potuto inserire nel mio libro, certo è che l’argomento prevedeva davvero una selezione attenta e non troppo ridondante.
Laura Carbonell: Nel libro le differenze di dimensioni e la sequenza delle immagini ci danno l'impressione di seguirti in questa ricerca del sacro. Hai concepito il libro con un percorso specifico o hai scelto di non condizionare la mente del lettore e lasciarlo interrogare attraverso le immagini mentre il libro va avanti?
Stefano Parrini: La geometria della sequenza fotografica è davvero un percorso che ho creato con una mia linea percettiva. Non è stata modificata moltissimo dal primo pdf che ho presentato a Steve, fin dall’inizio ci sono stati accenti e dimensioni che erano frutto di questo mio istinto. Sfogliando il libro ci si trova di fronte a spazi e dimensioni che ritengo siano in linea con questo mio modo di vedere le cose. Non so se sia un condizionamento per chi sfoglia il libro, certo sono un suggerimento per avvicinarsi ad una dimensione presente nel libro.
Laura Carbonell: Nella sua recensione “Possibili ierofanie”, Maria Cristina Comparato fa una descrizione molto interessante delle proprie sensazioni mentre sfoglia il libro. Dice: “Scorrendo le pagine del volume, mi riecheggiano nella mente queste parole dello scrittore rumeno Mircea Cărtărescu e penso che, se oggi non sappiamo più trovare una strada che possa restituirci il senso di la nostra esistenza, è probabilmente perché abbiamo smesso di meravigliarsi del fatto che, tra miliardi di possibilità, quella della vita sia riuscita ad emergere e sbocciare, anche solo per una minuscola parentesi nell'immenso tempo dell'universo”. Pensi che il tuo libro ci avvicini al senso dell'esistenza?
Stefano Parrini: Cristina, che è un’attenta scrittrice, ha centrato con la frase di Mircea Cărtărescu un pò l’essenza ultima del mio libro, è stato pensato come un reset che ci spinge a farsi delle domande che sono molto vicine ai misteri interiori che ognuno porta con se. Fare un piccolo passo indietro e riscoprire il piacere di cercare dentro di noi qualcosa per cui vale la pena di andare avanti.
Laura Carbonell: Il design del libro è stato realizzato da Rudi van Delden. Sono rimasto molto colpito dalla fattura del libro, in particolare dal tipo di carta, dalla stampa e dalla selezione tipografica. La maggior parte dei testi sono progettati come se fossero rocce. Questi sono dettagli sottili che danno al tuo lavoro ancora più trascendenza. Raccontaci di più sull'approccio del designer al tuo libro. Come è arrivato alle decisioni essenziali: copertina, carta, stampa e design tipografico?
Stefano Parrini: Il libro è il frutto di una collaborazione a tre, io Steve e Rudi abbiamo lavorato insieme per ottenere il risultato che vediamo. Io e Steve ci siamo concentrati molto di più sul corpo e la sequenza delle immagini. Dopo aver visionato diverse prove di stampa, abbiamo pure scelto le carte sia del libro che del box. Rudi ha dato quel tocco estetico che ha completato il design tipografico. Alcune scelte di Rudi, come quelle dei testi che seguono il contorno delle rocce, il font, che ha dato un bell’equilibrio a tutto il libro e la scelta di usare una pietra per la copertina, sono state particolarmente apprezzate! Una scelta importante è stata anche la carta per il box, dove abbiamo dato molta importanza al colore, grigio, che rispecchiasse le tonalità medie di tutto il libro e al colore dei testi e della pietra, rosso, che fossero in contrasto con tutto il resto. Per quanto riguarda la carta per le immagini, in stretto contatto con la tipografia, abbiamo scelto una carta opaca che fosse adatta per la stampa di quel tipo di immagini, abbiamo poi deciso di usare una carta color perla per i testi per dargli una diversa caratterizzazione.
Laura Carbonell: Perché hai ritenuto fosse importante fare un libro di questo progetto?
Stefano Parrini: Fare un libro, per me, è molto importante. Vuol dire riuscire a fare una piccola opera d’arte e farla arrivare alle persone direttamente senza il filtri. Questo libro è altrettanto importante perchè racchiude un bel periodo della mia vita e parla di concetti che ho sempre cercato di esprimere con il linguaggio fotografico. Fare un libro per questa serie è stato importante anche per la stima che ho verso l’editore e verso chi ha collaborato con me.
Laura Carbonell: Questo libro è dedicato solo ai lettori di fotolibri o pensi che sia stato realizzato per un pubblico più ampio?
Stefano Parrini: Non penso mai ad un pubblico ristretto per I libri di fotografia, sarebbe davvero riduttivo fare un libro solo per gli addetti al settore. Io credo che il linguaggio fotografico da sempre sia compreso da tutti e che ognuno possa trovare la propria chiave di lettura. Questo libro porta con se dimensioni universalmente riconoscibili e porta con se argomentazioni su cui ognuno può dare il proprio contributo. La prova è che il libro è stato acquistato da molte persone che non sono a diretto contatto con la fotografia che ne hanno comunque apprezzato il contenuto. Ad esempio, In una presentazione che ho fatto in una scuola media superiore, sono rimasto piacevolmente colpito dall’interesse che ha suscitato tra i ragazzi. Direi quindi che I libri di fotografia sono per tutti e che forse, dal mondo dell’editoria dovrebbero essere meno settorializzati.
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